II sogno di Carlo Magno è quello di far rivivere la gloria e la potenza dell'antico impero romano, anche attraverso il recupero della cultura e dell'arte antica. Per questo legame con il mondo antico si parla di «Rinascenza carolingia».

Carlo Magno comprende che per realizzare il suo progetto deve avere una capitale fornita di palazzi di rappresentanza. Sceglie Aquisgrana e li fa costruire il suo palazzo. Accanto a questo edificio viene edificata la Cappella Palatina (la chiesa "del palazzo").

Per costruire la reggia e la cappella, Carlo fa portare ad Aquisgrana marmi e mosaici direttamente da Roma e da Ravenna. L'operazione di spoglio (cioè l'utilizzo di materiale antico per costruzioni nuove) rappresenta simbolicamente il trapianto di cultura e tradizioni antiche.

Cappella Palatina di Aquisgrana

Il desiderio di Carlo Magno di ispirarsi all'Antichità è evidente in particolare nella costruzione della Cappella Palatina di Aquisgrana, edificata tra il 790 e l'805.

L'intero edificio è a pianta centrale, come ad esempio la Basilica di San Vitale a Ravenna. All'interno è presente un deambulatorio su due piani. Il deambulatorio collega il perimetro esterno a 16 lati con la struttura centrale a 8 lati. Proprio di fronte

Altare di Sant'Ambrogio

L’opera più importante realizzata in territorio italiano durante il periodo carolingio è senza dubbio l’Altare d’oro di Sant’Ambrogio a Milano. Il manufatto, un prezioso e grande reliquiàrio a forma di sarcofago che conteneva le spoglie di Sant’Ambrogio deposte accanto a quelle dei martiri Gervasio e Protasio, venne realizzato tra gli anni 824 e 859 durante il vescovato di Angilberto II. L’autore fu Vuolvìnio, un monaco e orafo forse di origine germanica, aiutato anche da altri artisti.

Il grande altare è di legno rivestito da lamine d’oro, d’argento e d’argento dorato, separate da cornici in filigrana adorne di gemme incastonate di chiara ascendenza barbarica, ma ormai parte di una raffinata cultura orafa, con smalti policromi i cui colori creano un forte contrasto con i preziosi metalli. La parte anteriore è divisa in riquadri con storie tratte dalla Vita di Cristo, secondo una narrazione che si svolge dal basso verso l’alto e dall’esterno verso l’interno.

La porzione centrale è dominata dalla figura di Cristo in trono entro una mandorla [a], al centro di una grande croce i cui bracci recano i simboli dei quattro Evangelisti, mentre gli spazi ai quattro angoli sono occupati dalle figure degli Apostoli riuniti in gruppi di tre [b].La stessa suddivisione, ma con episodi della vita di Sant’Ambrogio, è presente anche nel fronte posteriore, che ha però la sezione centrale apribile attraverso due sportelli che servivano a mostrare ai fedeli le reliquie dei Santi conservate all’interno.

Su di essi, entro quattro tondi, sono raffigurati gli arcangeli Michele [a] e Gabriele [b], Sant’Ambrogio che incorona il vescovo Angilberto [c] – ritratto nel gesto di offrire l’altare stesso – e Sant’Ambrogio che incorona Vuolvinio [d].Sui lati minori un quadrato disposto a losanga presenta al centro una croce sempre realizzata in smalto e impreziosita da gemme, mentre agli angoli e negli spazi che rimangono sono inserite figure di santi e angeli.Se nell’impianto generale l’opera presenta una struttura unitaria nella sequenza di formelle a sbalzo e cesello, nell’esecuzione intervengono sensibilità artistiche diverse. Gli sconosciuti esecutori della parte anteriore dell’altare utilizzano linee molto mosse, quasi tormentate, il che produce vivaci effetti di luce. Nei singoli episodi della Vita di Cristo, i personaggi appaiono collocati in spazi reali e ben riconoscibili e in essi è possibile riscontrare anche un forte gusto narrativo.

La nervosità di modellato e la drammaticità di intonazione generale sono, invece, assolutamente assenti nelle formelle di Vuolvinio, sul lato posteriore. Esse, suggeriscono un effetto più orientato verso la resa monumentale delle figure, le quali, infatti, appaiono isolate, ben salde e plasticamente sbalzate attraverso contorni netti e precisi, con rare notazioni architettoniche o paesaggistiche. Questo stile severo e austero conferisce ai movimenti dei protagonisti un ritmo lento e solenne.

Di particolare importanza è il tondo con Sant’Ambrogio che incorona Vuolvinio [Fig. 10.69]. Il santo sta su una pedana e con gesto benevolo della mano destra pone una corona sul capo dell’artista che accoglie il dono inchinandosi. Nella scritta disposta attorno alla sua figura, Vuolvinio si proclama «maestro orafo» (Magister Phaber), il che ci dimostra come fosse profondamente cosciente del proprio valore e del proprio ruolo.